Giambattista Basile (1575-1632)

Lo cunto de li cunti

ovvero Lo trattenemiento de peccerille

Dott. Pia Todorovic Redaelli

Che cos'è questo racconto dei racconti o trattenimento per piccoli?
E' una raccolta di 50 fiabe in dialetto napoletano, uscita per la prima volta tra il 1634 e il 1636, due anni dopo la morte del loro autore, Giambattista Basile. E' nota anche come Pentamerone, cioè libro di 50 racconti. Ci sono infatti cinque novellatrici che raccontano dieci novelle. Nonostante il titolo il Pentamerone non è affatto un libro per bambini, ma un'opera letteraria per adulti. Si può dire che è la prima raccolta nota di fiabe in Europa e sicuramente una delle più belle. Si distingue per uno stile esuberante, traboccante di forme inconsuete, stupefacenti, di gusto tipicamente barocco. Il libro ebbe fortuna: nel Seicento si contano 5 edizioni a Napoli ed una a Roma. Nel Settecento seguono altre 8 edizioni a Napoli e in altre città italiane. In Germania i fratelli Grimm nella famosa opera Favole per bambini analizzarono con grande sagacia il libro del Basile. Nel 1846 Felix Liebrecht fece una traduzione completa dell'opera in tedesco. Una traduzione parziale inglese apparve nel 1848. La fortuna del Basile in questo periodo coincise con la voga presa dagli studi folcloristici. Lo cunto de li cunti fu studiato come documento molto importante di uno stadio della evoluzione della novellistica popolare. Poi nel 1925 Benedetto Croce offrì un'efficace traduzione italiana di tutta l'opera. A questa seguì nel 1986 la traduzione di Michele Rak.

Ma chi era Giambattista Basile, che più tardi si sarebbe chiamato cavaliere e conte di Torone? Nacque nel 1575 nei dintorni di Napoli, forse a Posìllipo, in una famiglia numerosa che sicuramente non era ricca. Frequentò le scuole, ma non l'università. In cambio ebbe però una grande esperienza di vita. Da giovanotto fece numerose peregrinazioni per quasi tutta la Penisola. Conosceva bene il mestiere dei marinai, per diversi anni fu soldato nell'esercito veneziano a Creta (che allora si chiamava Càndia) e che era minacciata dai turchi. Conosceva bene le gioie delle osterie, i giochi di carte, e le donne. Negli accampamenti e nei porti sentiva centinaia di storielle e avventure fantastiche, ma ogni tanto si comperava anche qualche libro di letteratura classica, il latino certo non lo spaventava. Ad ogni modo il giovanotto riuscì a farsi strada. Già a Creta entrò nelle grazie del nobile veneziano Andrea Cornaro, dal quale, col nome di "Pigro" venne introdotto nell'Accadmia degli Stravaganti. Ma in realtà pigro non era: durante la sua vita scrisse madrigali, odi e tante altre cose. Godette sempre della protezione di una delle sue tre sorelle che si chiamava Adriana e che era diventata una famosa e acclamatissima antante. Questa sorella lo introdusse nelle cerchie nobili e lo aiutò nell'ascesa cortigiana. Fu così che Basile nel 1613 frequentò la corte del duca Vincenzo Gonzaga a Mantova. E quando, circa quarantenne, tornò in Campania, ebbe piccoli impieghi presso nobili locali: servì, per esempio il principe Marino di Caràcciolo, il duca d'Alba e poi finalmente il duca d'Acerenza che lo fece governatore della provincia di Giuliano. Qui trovò il tempo di scrivere Lo cunto de li cunti che però, non ebbe la soddisfazione di vedere stampato perchè un'infezione perfida lo strappò alla vita, il 23 febbraio del 1632, all'età di 57 anni.

Lo cunto de li cunto è una specie di romanzo a lieto fine. La novella-madre è costituita dalla storia di Zoza, una principessa reale, figlia del re di Vallepelosa, di natura così malinconica che nulla riesce a farla ridere. Ma un giorno, la principessa guarda dal balcone la fontana d'olio che il re, suo padre, ha fatto preparare perché, come d'uso nelle feste, rida della calca plebea intorno alla cuccagna. Una vecchia raccoglie l'olio in un orciolo (Krüglein), e quando questo viene rotto da un paggio lo ricopre di insulti e poi alza la sottana, nell'antico gesto di scherno, mostrando, come dice Basile, la sua scena boscareccia. La principessa, per la prima volta in vita sua, scoppia in una gran risata. La vecchia le scaglia una maledizione: essa non avrà più pace fino a quando non sposerà il principe di Camporotondo. Zoza si mette in viaggio, munita di tre oggetti incantati, e trova il principe, che però è in letargo per un'altra maledizione. Perché Zoza possa svegliare il principe è necessario che in tre giorni riempia delle proprie lacrime un'anfora; ma dopo due giorni d'ininterrotta lacrimazione la giovane si addormenta per stanchezza. Ne approfitta una schiava mora che con facilità finisce di colmare di lacrime l'anfora, facendosi così sposare dal principe miracolosamente svegliatosi. Zoza però per vie magiche suscita nella schiava-principessa, che adesso è in attesa di un figlio, una grande voglia di ascoltar favole. Il principe sceglie allora dieci brave novellatrici (tutte indicate con un tic grottesco, secondo la preferenza barocca per il "capriccio": Cecca è storta, Meneca è gozzosa, ecc.). A queste novellatrici affida il compito di narrare in cinque giorni, fino cioè al momento del parto, 50 favole. Durante il quinto giorno Zoza prende il posto di una delle novellatrici colpita da malessere e narrando la propria storia, smaschera la schiava. Il principe, incurante dello stato di avanzata gravidanza della moglie, condanna a morte la schiava usurpatrice e sposa Zoza. La cinquantesima favola è insomma quella della cornice: da qui il titolo Lo cunto de li cunti, cioè "la favola che contiene in sé tutte le altre favole". Questa cornice richiama quella delle raccolte orientali, soprattutto le Mille e una notte. Lo cunto de li cunti è la prima raccolta di fiabe europea ed è veramente un'opera della letteratura mondiale. Il sottotitolo Lo Trattenimiento de' Peccerille vuole nascondere la vera intenzione dell'autore che ha voluto fare un libro per adulti. Importante anche la scelta del dialetto che è una specie di protesta e di sfogo contro gli spagnoli che allora regnavano a Napoli. Lo cunto de li cunti era destinato alle conversazioni nelle piccole corti napoletane, spesso nel momento rituale del dopopranzo quando le tavole venivano sparecchiate e avevano inizio per i commensali altri divertimenti. Il Cunto, come altri testi destinati a questo tipo di circostanze, era innanzitutto un testo piacevole, ricco di materia comica e aperto alle integrazioni e i motti di spirito del suo pubblico. Basile lavorava abitualmente per questo tipo di pubblico scrivendo - come era consueto per un uomo di lettere in quei decenni - madrigali, canzoni celebrative, testi per balli, mascherate, feste chiuse di corte. Per questi testi utilizzava la lingua letteraria alla moda. A differenza di questi testi il Conto era scritto in dialetto napoletano. E per scriverlo Basile aveva a lungo raccolto modi di dire dell'area campana e aveva frequentato il teatro popolare da piazza. Nel Cunto si incrociano così racconti popolari e la, spesso letteratissima narrativa barocca. Il Cunto è un testo che intendeva sollecitare il riso e le emozioni liberatorie ad esso connesse. Per questo il riso compare già nella cornice, nel racconto della principessa Zoza. Ridono anche le fate vedendo una vecchia, che è riuscita a farsi sposare dal re mostrandogli soltanto un dito reso diafano a forza di succhiarlo e che, scoperta nella sua bruttezza durante la prima notte d'amore, viene gettata dalla finestra, rimanendo sospesa ad un ramo. Le fate, per pagare questo divertimento e questo piacere del riso le donano gioventù, bellezza, ricchezza, noblità, virtù, amore e un buon destino (I, 10). Il Cunto è uno dei testi della tradizione letteraria italiana più conosciuti nei paesi europei. C'è stato un enorme numero di rifacimenti attraverso i quali il Cunto circola, soprattutto negli ultimi due secoli, nella cultura europea.

Il Cunto riunisce modelli e tradizioni diverse: miti, leggende, proverbi, exempla, facezie, novelle, testi sacri, credenze popolari, conversazioni delle case di campagna, delle taverne, delle fiere e mercati, dei bivacchi e delle feste.

Ma ora vorrei darvi qualche esempio di stile del Cunto di li Cunti. E scelgo per questo la descrizione che Basile fa delle fate. La prima fata, nella seconda novella della prima giornata è descritta nei termini di una bellezza assoluta. Il principe che la sente arrivare nel buio, si accorge della levigatezza, della morbidezza, della pastosità, della delicatezza e della leggerezza del suo corpo. Ed ecco come viene descritta la sua bellezza:....

Altrettanto bella è l'ultima fata del Cunto (V,9) E tutte e due vengono dal mondo dei vegetali: da una mortella (arbusto sempreverde, con foglie di color verde e piccoli fiori bianchi, nella tradizione letteraria conserva il valore di simbolo dell'amore e della poesia amorosa, Myrte) la prima, e da un cedro l'altra. Altrettanto importanti delle fate sono gli orchi. Il primo orco del Cunto ha la testa come una zucca, i piedi larghi come quelli di una papera, i buchi del naso come due condotte di fogna.

Tutti gli orchi del Cunto hanno legami con gli altri mondi del vegetale, dell'animale e delle materie e abitano sempre i luoghi della separatezza: boschi profondi, montagne altissime, orti chiusi.


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