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LE FIABE POLACCHE


Sorengo, Centro Incontro Cortivallo, 7 dicembre 2011
introduzione di Pia Todorovic Redaelli

La Polonia si trova nel centro d’Europa, e confina a ovest con la Germania, a sud con la Repubblica Ceca e Slovacca, a est con la Bielorussia e l’Ucraina, a nordest con la Lituania e la Russia. A nord è bagnata dal Mar Baltico, mentre a sud il confine è segnato da due catene di monti, i Sudeti e i Beschidi. Il resto del paese è un’immensa pianura con boschi, prati e pascoli, tranne che nel centro, dove c’è una zona collinosa. La Polonia è una Repubblica parlamentare, divisa in 49 province che si chiamano voivodati ed ha quasi 40 milioni di abitanti. I Polacchi sono di ceppo slavo, ma nel paese vivono minoranze tedesche, ucraine e bielorusse. Il 93% dei Polacchi è cattolico, il 2% cristiano ortodosso. Pochissimi sono i protestanti e ancora meno gli israeliti (soltanto 10 000 mila), che prima della seconda guerra mondiale erano molto numerosi. Possiamo far risalire le origini della nazione polacca al IX secolo, quando la dinastia Piast fondò un ducato, ma solo nel X secolo uno dei Piast, Boleslao I, si fece incoronare re e conquistò nuove terre. Un suo discendente, Bolesalo III, ingrandì ancora il regno, ma alla sua morte il paese fu attaccato dai Tedeschi e dai Mongoli: nel corso dei secoli la Polonia si troverà sempre a combattere contro popoli provenienti da ovest e da est. Quando morì Casimiro il Grande, ultimo dei Piast (1370), la Polonia era ormai un grande stato, e la sua capitale, Cracovia, possedeva un’università che oggi è tra le più antiche d’Europa. Nel 1386 il granduca di Lituania, Jagellone, sposò l’erede al trono di Polonia e diventò re: il territorio polacco comprendeva ora, oltre alla Lituania, anche la Bielorussia e l’Ucraina, e la capitale venne spostata a Varsavia. Nel 1572 la Polonia diventò una monarchia elettiva: era la noblità a scegliere il re, ed esisteva anche un parlamento di nobili, la Dieta. Nel secolo XVII, però, le terre polacche furono invase da eserciti diversi durante la guerra dei Trent’Anni, che devastò tutta l’Europa, e dovette fare i conti con l’impero russo, potentissimo dopo il regno dello zar Pietro il Grande. A poco a poco il paese divenne quasi un satellite della Russia, e nel 1764 lo zar impose ai polacchi un re scelto da lui. Nel 1772 la Polonia fu addirittura divisa tra Russia, Prussia e Austria, e per un secolo sparì dalle carte geografiche, anche perché il Congresso di Vienna decise, nel 1815, che il territorio polacco diventasse una provincia dell’impero russo, lasciando due regioni occidentali ai Tedeschi e agli Austriaci. I Polacchi, però rimasero uniti e continuarono a sentirsi una nazione, e nel 1830 la Polonia russa si ribellò allo zar, ma la rivolta fu stroncata e migliaia di Polacchi furono deportati in Siberia. Alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, la Polonia tornò ad essere una nazione indipendente, ma solo per vent’anni: nel 1939, infatti, venne invasa dall’esercito tedesco a occidente e da quello sovietico a oriente. Questa fu la scintilla della seconda guerra mondiale, anche se in un primo momento gli alleati occidentali avevano abbandonato la Polonia ai nazisti, senza intervenire. La seconda guerra mondiale fu, per i polacchi, veramente terribile: sei milioni di cittadini (tre milioni dei quali Ebrei) furono deportati e sterminati dai Tedeschi, anche se nel 1944 ci fu una sanguinosa rivolta antinazista. Nel frattempo vennero creati un esercito e un governo in esilio, che alla fine della guerra, però, non ebbero una grande influenza sulla formazione della nuova Polonia. I confini furono ridisegnati ancora una volta: ai Polacchi furono concessi nuovi territori a ovest, ma ne furono tolti altri a est, e il paese fu governato da un regime comunista. Gli anni della ricostruzione furono durissimi e il regime incontrò una forte opposizione finché nel 1980, un’ondata di scioperi guidati dal sindacato Solidarnosc diede il via a grandi cambiamenti: nel 1989 il governo fu costretto a concedere elezioni libere, e dal 1990 la Polonia, non più comunista, si chiama di nuovo Repubblica Polacca. Concludo questa parte con alcune immagini di Cracovia, città millenaria, che per secoli è stata capitale della Polonia, culla del rinascimento polacco. E’ la città di Copernico, del pittore Wyspianski e di Papa Giovanni Paolo II. Il Wawel, che dalla seconda metà del XI secolo diventò la principale dimora dei sovrani polacchi. La cattedrale del Wawel, irregolare e molto pittoresca, racchiude un tempio gotico. All’interno della cattedrale sono sepolti i re polacchi. Una via medievale della città, la via Kanonicza.
La famosa piazza del mercato, una delle piazze più ampie in Europa. A destra il Fondaco che risale alla fine del XIV secolo. Il monumento allo scrittore nazionale Adam Mickiewicz che è stato eretto nel 1898. La chiesa di Santa Maria Vergine, il tempio più grande della città, che risale al XIV secolo. All’interno si può ammirare il bellissimo altare maggiore, opera di Veit Stoss della fine del XV secolo. La famosa università Jagellonica, fondata nel 1364 da re Casimiro. E’, dopo Praga, la più antica università d’Europa. La vecchia sinagoga di Kazimierz, nel quartiere ebraico di Cracovia che prima della guerra era molto popoloso
Ma passiamo ora al punto centrale della serata: alle fiabe polacche
Fiabe polacche
La prima fiaba polacca di magia risale al 1620, è la fiaba della principessa Banialuka. L’autore e Hieronim Morsztinski. La vera stagione delle fiabe polacche inizia però solo due secoli più tardi con la prima raccolta di fiabe polacche di Wladislaw Kazimierz Wojcicki che esce nel 1837. Contiene 33 fiabe e leggende, raccontate, secondo l’uso dell’epoca, nella lingua letteraria, alquanto incolore e priva di espressività. Tradotto subito in parecchie lingue straniere, questo libro ebbe un successo enorme e influì sui lavori analoghi di altri pionieri della favola polacca: il poeta Roman Zmorski, il letterato Ryszard Berwinski e l’insegnante slesiano Josef Lompa . Questo quartetto di entusiasti del popolo fu oscurato tuttavia dall’autore del Favoliere polacco (Bajarz Polski) di Antoni Glinski, la cui raccolta conobbe oltre dieci edizioni. L’atteggiamento dei raccoglitori qui ricordati verso l’autentica favola popolare fu in genere il medesimo. Durante le loro peregrinazioni attraverso il paese essi prendevano nota dei testi non sotto dettatura, bensì, sotto l’influsso dei racconti ascoltati, che trattavano come una materia prima rozza bisognosa di un adeguato ritocco letterario. Ne cesellavano quindi il lessico, arrotondavano le frasi, perché si susseguissero ritmicamente, e da ciascuna narrazione traevano un ben articolato racconto: in una parola sostituivano quasi alla narrazione popolare la propria prosa. Mise fine a questo genere di adattamento letterario il più grande dei raccoglitori del folklore polacco, l’etnologo Oskar Kolberg; tra il 1857 e il 1890 uscì la sua opera monumentale in 36 volumi dal titolo: Il popolo. Le sue tradizioni, il suo modo di vivere, la sua lingua, proverbi, riti, superstizioni, giochi, canti, musica e balli. Questa opera contine 12500 canti, 670 fiabe, 2700 proverbi, 340 indovinelli, e tanto altro materiale. Se i raccoglitori romantici agivano affidandosi soltanto a se stessi, i loro successori dell’ultimo quarto dell’Ottocento trovarono ormai appoggio nelle istituzioni, cioè nell’Accademia delle Scienze di Cracovia e nell’Associazione per le Conoscenze del Popolo di Leopoli. Tra i ricercatori del folclore c’erano medici, avvocati, talvolta sacerdoti, ma soprattutto insegnanti. Dopo la seconda guerra mondiale, in seguito alla rapida urbanizzazione e industrializzazione del paese, il repertorio polacco ha mutato il suo profilo. Ad iniziare dal 1957, le edizioni di fiabe polacche compaiono in genere in una accurata veste scientifica. Tra gli studiosi del dopoguerra spicca Julian Krzyzanowski che nel 1957 ha pubblicato un’opera fondamentale sulla fiaba polacca : La fiaba popolare polacca in ordine sistematico. Questo libro schiude la porta al tesoro delle fiabe popolari polacche. Contiene 1350 tipi di fiabe, ordinati in modo sistematico e con un breve riassunto e indicazioni su fiabe simili in altre lingue. Ancora prima della prima edizione delle fiabe dei fratelli Grimm nel 1812, in Polonia si conoscevano ben 166 tipi di fiabe. Nel folclore polacco ci sono molti racconti comici, poi fiabe di magie, fiabe religiose, e fiabe di animali, fiabe intorno al diavolo e fiabe di ladri. Le fiabe polacche possiedono parecchi tratti in comune con le fiabe di altre nazioni, benché, essendo il prodotto di una cultura ben definita, mostrino anche parecchie differenze essenziali. Del carattere nazionale di una fiaba del resto decide non tanto la disposizione degli schemi, dei simboli o degli eventi, quanto piuttosto il suo sfondo, ovvero il modo secondo cui in essa si rappresentano i rapporti della vita quotidiana, le relazioni sociali, le usanze, la morale. Non stupisce che la Polonia che ha fatto fin troppo spesso sulla propria pelle l’esperienza di reggitori incapaci, ci siano molte fiabe in cui l’eroe, grazie ad aiuti straordinari consegue il trono reale, oppure una ragazza sagace riesce a sposare il ricco principe. I potenti vengongo dunque superati dal sempliciotto di campagna che, sotto la maschera della grullaggine, nasconde l’acume della mente e la solida saggezza popolare. Ne parla la fiaba: Lo stupido che sposò la principessa e diventò re che verrà raccontata da Cristina Schneider Galfetti. Particolarmente scaltre sono le donne, come nella fiaba Da bracciante a padrone che ci proporrà stasera Candida Matasci. Il diavolo compare in molte fiabe polacche. Il contadino deve cercare di cavarsela nei suoi confronti. Il diavolo ha paura perfino della donna, benché nella valutazione popolare ella sia considerata inferiore all’uomo. La donna però dimonstra una scaltrezza che neppure l’inferno riesce a uguagliare, come nella fiba Il diavolo e la vecchia che è stata raccontata in modo divertente da Letizia Ceresa Bernasconi. Il diavolo, in molte fiabe polacche, indossa il cosiddetto kontusz, il tradizionale vestito della nobiltà polacca nel Seicento e Settecento. Il kontusz era un soprabito maschile derivato da un capo d’abbigliamento dei Turchi che si era diffuso in Polonia attraverso l’Ungheria. Consisteva in una veste lunga fino ai piedi con bottoni decorati, chiuso in vita da una larga cintura. Le maniche lunghe e larghe, potevano essere aperte. Quando nel Settecento dall’Europa occidentale arrivò in Polonia la moda dei frac, il kontusz era una prova di patriottismo polacco. Del kontusz facevano parte un colbacco con una piuma e, sul fianco, una sciabola. Sotto il kontusz si portava un lungo vestito di stoffa sottile pregiata, il cosiddetto zupan. Nella fiaba Il caffettano rosso, il diavolo è vestito, appunto, col kontusz e balla con una bella ragazza cercando di farla annegare nel fiume, da dove è arrivato lui. Molto importante, nelle fiabe polacche, l’elemento religioso, che acquisisce talvolta un valore „magico“: per esempio l’usanza – in Polonia ancor oggi viva perfino nelle città – di far benedire il gessetto con il quale – di ritorno dalla messa dell’Epifania – si scrivono sull’uscio di casa in grandi lettere a stampatello le iniziali dei nomi dei tre re magi, con chiaro valore apotropaico, cioè di scongiurare gli influssi malefici. Questo gessetto – come potente talismano contro le forze infernali – compare nella favola Il letto di Madej, che è tra le fiabe più diffuse in Polonia. Racconta la storia di un ragazzo che involontariamente è stato venduto al diavolo dal proprio padre. Il ragazzo, diventato nel frattempo chierico, s’avventura all’inferno per strappare al diavolo il contratto con il quale gli è stato promesso tanti anni prima. Vi leggo brevemente la scena in cui appare il gessetto: „Ma il coraggioso chierico, fiducioso nella potenza dei santi talismani, e soprattutto nella purezza della sua coscienza, si dispose di buon grando alla lotta con l’inferno. Estrasse il gesso benedetto dei Tre Magi, gli scapolari e le reliquie dei santi, intinse tre volte l’aspersorio nell’acqua benedetta, poi, intonando il canto Chi si affida alla protezione del suo Signore, con passo coraggioso si immerse nel cratere dell’inferno. Al mondo contadino si mescolano anche i santi, come san Gioacchino e sant’Anna nella fiaba Treccia d’oro. I due santi diventano i padrini della dodicesima figlia di una famiglia, chiamata Anuszka. Le regalano delle forbicine e una treccia d’oro e grazie a questi oggetti Anuszka sposerà il principe. Nella fiaba di San Giorgio e la staffa d’oro il santo salva un contadino povero intento a impiccarsi per la grande miseria. San Giorgio gli dice: „Ascolta, buon uomo, non impiccarti, io sono san Giorgio, sto andando a trovare il Signore Iddio per una certa faccenda, chiederò al Signore Iddio anche del tuo destino, magari la tua miseria finirà all’improvviso, e allora ti saresti impiccato per niente. Sta’ seduto qui e aspettami, tornando ti riferirò quello che il Signore Iddio mi ha detto di te, se le cose ti andranno meglio o no.“ Il contadino però gli chiede un pegno e san Giorgio gli dà una staffa d’oro. San Giorgio sistema la sua faccenda in cielo, ma si dimentica di chiedere del contadino. Cosa rispondergli? Gli dice: „Hai un destino molto buono, ho parlato di te con il Signore Iddio: tutto ti andrà bene solo se, quando chiederai in prestito qualcosa a qualcuno, giurerai e stragiurerai che non hai visto niente, che non hai ricevuto niente, se ti terrai tutto, tutto ti andrà bene.“ Il contadino impara subito la lezione e non restituisce la staffa d’oro a san Giorgio. Con la promessa di dargli la staffa imbroglia anche il signor Mosè, padrone della locanda che gli dà tutti i giorni pane e vodka, con la promessa di aver un giorno in cambio la staffa d’oro. Alla fine però il contadino rinnega di aver mai avuto una staffa d’oro. Per San Giorgio, intanto, era molto scomodo cavalcare con un’unica staffa. „Eh, che fare?“ pensò tra sé e sé. „Occorre che vada da quel contadino, occorre che gli dia qualcosa, magari me la restituisce!“ Il contadino, infatti, alla fine gliela diede e san Giorgio lo ricompensò con un cofanetto pieno di ducati, che non mancavano mai. Tra le caratteristiche che contraddistinguono la fiaba polacca vale poi la pena di notare il poderoso carico di realtà nel quale essa è inserita. Nella fiaba Che cosa non è capace di fare l’avidità c’è una descrizione realistica e particolareggiata dell’abito, che l’elegantona riesce ad estorcere al diavolo: gonna bianca, camicia splendidamente cucita e ricamata, corpetto bellissimo, trapuntato, belle scarpette, stringate fino al ginocchio, calze, collana, orecchini, anelli, pettine, nastrini colorati per le trecce. Tuttavia accanto a questo robusto senso del reale, di tanto in tanto nelle fiabe polacche si possono anche ritrovare reminiscenze di antiche credenze e riti. Le due fiabe Il pescatore e i suoi tre figli e La sorella traditrice, contengono per esempio l’episodio della visita del fratello-gemello alla cognata, la quale lo scambia per suo marito e si corica a dormire al suo fianco, mentre il fratello pone tra lei e lui la spada. Certo che i narratori non comprendono più il valore simbolico di questo gesto. Esso deriva dalle usanze della cavalleria medievale, in cui la spada deve difendere la purezza, e trasferiscono questa situazione anche alla notte successiva col marito autentico. Tra le fiabe polacche più note c’è quella di Twardowski che è stata raccontata magistralmente da Mirella Guglielmoni: Il protagonista è un nobile, sia da parte di padre che da parte di madre che esercita la professione di medico e fa un patto con il diavolo. La fiaba nasce come leggenda cittadina di Cracovia. Ne esistono numerose varianti. Soprattutto durante il romanticismo questa fiaba era molto di moda. Il nome di Twardowski appare per la prima volta nel 16mo secolo. Twardowski assomiglia molto alla figura di Faust, ben nota in ambito tedesco. Come Faust vende la sua anima al diavolo ricevendo in cambio grandi saperi e facoltà sovrannaturali In Twardowski troviamo molti motivi polacchi a partire dai nomi geografici come Cracovia, Olkusz dove si trovava una famosa miniera di zinco e di argento e Pieskowa Skala, dove il diavolo ha capovolto una roccia. Questi nomi rendono la fiaba molto realistica. Altri motivi tipicamente polacchi sono il cavallo colorato (che risale ad una ballata di Mickiewicz), l’ape nella bottiglia, l’abbigliamento „tedesco“ del diavolo (il cappello a tricorno, il frac alla tedesca, il panciotto sul ventre, i calzoni corti e aderenti, le scarpe con le fibbie (si diceva infatti in Polonia: Guardati dal peccato, non vestirti alla tedesca). Altri elementi tipici sono la casa di argilla della Signora Twardowski, la canzone in onore di Maria, il diavolo che parla in latino (per secoli in Polonia si è parlato latino). Motivi internazionali sono invece il patto col diavolo firmato con il proprio sangue, la ricerca di un rimedio contro la morte, l’indovinello della sposa, i corvi che preannunciano la morte, il piccolo bimbo appena battezzato come difesa contro il diavolo. Famosa l’immagine di Twardowski seduto per sempre nella luna, insieme al suo aiutante che ogni tanto, in forma di ragno, scende sulla terra a sentire le novità. La fiaba di Twardowski ha ispirato numerosi artisti, musicisti registi e scrittori. Il più noto è il poeta nazionale Adam Mickiewicz che nel 1822 ha pubblicato una famosa ballata comica Pani Twardowska (Signora Twardowska), nella quale il diavolo deve esaudire tre desideri di Twardowski, prima di prendersi la sua anima. Quale terzo compito Twardowski chiede al diavolo di vivere un anno con la Signora Twardowska. Questo, per il diavolo, è troppo. Sparisce per la serratura e Twardowski è salvato.
Un’altra fiaba molto diffusa è quella del letto di Madej, alla quale ho già accennato perché vi compare il motivo del gessetto benedetto. Madej, menzionato nel titolo, è un tremendo brigante che ha ucciso molti uomini. Un giorno viene a sapere, da un chierico, che nell’inferno lo aspetta un letto rivestito delle migliori lame inglesi, che, tagliuzzando in ogni parte del corpo che vi viene gettato sopra, in un attimo lo riducono in poltiglia. Da quel giorno Madej giura di rinunciare al suo crudele mestiere e di voler trascorrere i giorni di vita che ancora gli restavano nella penitenza più dura. Dopo una spaventosa confessione di tutte le sue gravi colpe, il chierico gli dice che non potrà impartirgli l’assoluzione, perché non ha ancora ricevuto la consacrazione sacerdotale che però verrà da lui appena otterrà il potere di rimettere i peccati. Molti anni dopo, il chierico, diventato ormai vescovo, compie un viaggio alquanto lontanto e passa per un fitto bosco: lì lo raggiunge il profumo di mele odorose, che da un melo non troppo lontano brillando di scarlatto e d’oro paiono sorridergli. Ordina dunque al suo servitore di fermarsi e di andare a cogliere qualcuna di quelle bellissime mele; però quando costui si avvcina al melo e tende sollecito la mano per prendere un frutto, sente le parole: „Chi mi ha piantato, soltanto costui può cogliermi.“ Il servo spaventato torna indietro di corsa dal suo padrone rivelando il fenomento tanto strano. Quelle parole incomprensibli rinnovano in lui il ricordo dell’antica avventura: si rammenta della promessa di assoluzione data, di cui si era dimenticato a causa delle sue importanti responsabilità, indossa dunque le vesti talari e si affretta verso il melo. Proprio sotto l’albero vede un vecchio inginocchiato, piegato verso terra, la cui barba grigia ricade fino alle ginocchia. Riconosce in lui il suo penitente: levando subito il pensiero a Dio, traccia su di lui il segno della santa croce e pronuncia la formula dell’assoluzione. Ma, oh miracolo! Quando lo tocca col dito, il suo corpo si sbriciola in polvere, e le auree mele, trasformate in anime benedette, volano in cielo. Questa fiaba, in cui compaiono molti elementi legati alla religione, originariamente è nata probabilmente nell’ Inghilterra medievale, ma il motivo del pentimento del brigante è stato aggiunto nella Polonia meridionale. Nell’Ottocento la fiaba era diffusa soprattutto in Polonia e in Ucraina, e da lì ha continuato il suo viaggio. A livello mondiale se ne conoscono 220 varianti, di cui 42 in Polonia, 35 in Ucraina e 16 in Slovenia. Tipicamente polacchi sono gli elementi religiosi, il nome del brigante, Madej, e il motivo del pentimento del brigante. Tra le fiabe più popolari in Polonia troviamo poi Il fiore di felce che ha ispirato anche numerosi scrittori. Da secoli in Polonia, e anche in altri paesi si crede che il 24 giugno, nella notte di San Giovanni, la più breve dell’anno, il fiore della felce risplenda come l’oro, o come il fuoco: chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga su una montagna tenendolo in mano scoprirà una vena d’oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra. Anche il seme della felce, non diversamente dal magico fiore, farebbe scoprire i tesori nascosti nella terra. Però di fiore di felce se ne trova uno solo ed è nascosto così bene, che lo si trova solo con grande fortuna. Il fiore cresce nel bosco e per trovarlo bisogna percorrere un sentiero lungo e molto pericoloso. Per di più il fiore è difficile da riconoscere e viene protetto da spiriti maligni. Fiorisce solo per poco tempo, fino al cantar del gallo. A chi lo trova saranno esauditi tutti i desideri. Si sa anche che solo i giovani riescono a trovarlo. Se lo coglie un anziano, il fiore si riduce subito in polvere. Le fiabe popolari polacche raccontano, in varianti diverse, le avventure di un eroe, che riesce a cogliere questo magico fiore di felce, però solo il terzo anno. Il fiore gli procura un palazzo, vestiti di broccato, una sciabola tempestata da pietre preziose, cibi prelibati e bevande squisite. Le sue ricchezze non le può però dividere con nessuno, se no spariscono all’istante. L’eroe dapprima si gode in pieno la sua vita di lusso, poi però comincia a pensare ai genitori e ai fratelli che vivono in grande povertà. Due volte va a trovarli, ma nessuno lo riconosce, la terza volta non trova più nessuno: sono morti tutti di miseria. Sono morti tutti per colpa sua e ormai non ha più voglia di vivere nemmeno lui. Sprofonda nella terra insieme al fiore della felce che non gli ha portato la felicità.